Chiloè l'isola dei senza tempo nella zona australe del Cile.


Nei canali contorti della piovosa Chiloé Darwin ha l'impressione di essersi spinto ai limiti fisici della cristianità. Così era stato soprannominato il porticciolo di Caylen, poco più a sud: «la fine della cristianità». Il Beagle solcò quelle acque pertre volte, nel periodo compreso fra il luglio del 1834 e il febbraio del 1835. Chiloé, terra di maiali, patate e pesce - annota Darwin- raggiunta dopo aver contemplato gli scenari maestosi del Monte Sarmiento e dei ghiacciai che come «cateratte azzurre» si tuffano nell'oceano.


Mai vista tanta pioggia, tanta nebbia, un mare così inquieto e spumeggiante, nei labirintici arcipelaghi di fronte ai vulcani cileni. Il terreno è impervio, le foreste impenetrabili, le maree veloci e impetuose. Difficile ovunque piantare le tende. «Desolazione» è il termine che ricorre più di frequente: «Le creazioni inanimate della natura - rocce, ghiaccio, neve, vento e acqua, tutte in lotta fra loro, ma tutte unite contro l'uomo - regnano qui in assoluta sovranità».

Castro, l'antica capitale di Chiloé, è talmente abbandonata a se stessa che non vi si può comprare nemmeno un «chilo di zucchero né un coltello comune». Nell'isola dove oggi i nostri scienziati di «Evoluti per caso» indagano i misteri della cronobiologia, gli sparuti abitanti di allora avevano persino perso il senso del tempo: «Nessuno possedeva un orologio e un vecchio, che si supponeva avesse una buona idea del tempo, era incaricato di suonare a suo arbitrio le campane». Pur sempre un orologio biologico anche quello.

Le case non avevano camini ed erano miseramente annerite dal fumo che fuoriusciva dalle fessure dei tetti. Le meno fatiscenti erano costruite con un odoroso legno di cipresso, che il botanico Joseph Hooker dedicherà meritoriamente a FitzRoy qualche anno dopo. Per il capitano i mesi a Chiloé non furono un buon periodo. I turbolenti rapporti con l'ammiragliato lo avevano persino indotto a dimettersi dall'incarico. Gli sbalzi d'umore, e il terrore di cadere nella depressione, gli procurarono l'occasione per alcune epocali sfuriate contro Charles, che saggiamente preferì scendere dalla nave. Qualche settimana più tardi la tempesta emotiva passò, e FitzRoy decise di proseguire le rilevazioni della costa sudamericana occidentale tornando a Chiloé.
Mentre in patria fervono le discussioni fra conservatori e progressisti sulle teorie di Thomas Malthus, Darwin dedica molti pensieri - tra una burrasca e il soccorso a qualche naufrago - a questioni antropologiche. Riflette sulle parentele fra le razze umane, a suo avviso discendenti da un unico ceppo. Non si spiegherebbe altrimenti perché «gli indiani sanno raggiungere lo stesso grado di civiltà, per quanto basso possa essere, dei loro conquistatori» (notare l'inciso, «per quanto basso possa essere»).
Eppure l'esperimento con i fuegini educati in Inghilterra e riportati poi nella terra d'origine per civilizzare i compagni era stato un fallimento: gli indigeni, visitati dopo pochi mesi dal loro ritorno alla tribù, avevano rapidamente riacquisito le abitudini «selvagge» dei loro simili. Ma allora prevale la natura o la cultura? Qualunque sia la risposta, per Darwin la schiavitù è disumana: «Le autorità cilene stanno compiendo un atto di giustizia indennizzando questi poveri indiani e dando a ogni uomo, secondo la sua condizione, una certa porzione di terra». Le riforme agrarie in America Latina sono dunque un tema antico e già darwiniano.

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In compenso la flora e la fauna non umana - fra lontre abbondanti (allora) e branchi di foche maleodoranti - sono ricche e interessanti. Non sappiamo però se la volpe del luogo, interpellata, avrebbe accolto di buon grado il nomignolo di «volpe di Darwin». Durante un'ispezione sull'Isola di San Pedro per eseguire alcune misure con il teodolite, Darwin ne scorge un esemplare seduto su una roccia. La poverina è talmente distratta dai bizzarri visitatori bipedi che il naturalista riesce a girarle silenziosamente alle spalle e ad assestarle un preciso colpo in testa con il martello da geologo. Non avvertiamo sensi di colpa animalisti, semmai un leggero compiacimento per la mira, nel commento: «Questa volpe, più curiosa o più scienziata, ma meno saggia della generalità delle sue sorelle, è ora imbalsamata nel museo della Società Zoologica».

Animali e piante concedono però a Darwin anche spunti pre­evoluzionistici. Ragionando sulle disomogenea distribuzione di una specie di piccolo topo nella costellazione di isolette delle Chonos, si interroga sulle modalità contingenti (abbassamenti del livello del mare? Prede disperse dai rapaci?] di colonizzazione degli arcipelaghi: un esempio che affiancherà poi ai fringuelli delle Galapagos. Gli uccelli della foresta lo colpiscono perle stranezze dei canti. Uno sembra quasi abbaiare e un altro, il cheucau, emette versi che suscitano le preoccupazioni superstiziose degli abitanti di Chiloé: alcuni sono di buon augurio, altri infausti. Ma lo scienziato è scettico: «A Chiloé si sono certamente scelti una ben comica creaturina come oracolo!».
Non dimentica il problema dell'estinzione dei grandi mammiferi fossili che aveva visto in Patagonia. Ma si lascia ingannare dalla metafora degli innesti dei meli, di cui Chiloé traboccava. Forse anche le specie animali sbocciano Cuna dall'altra come le piante e per questo si estinguono tutte insieme, ipotizza. È una falsa pista, ma su un terreno fertile. In fondo, commenta Darwin, «i limiti della conoscenza umana in ogni campo hanno un grande interesse, che è forse aumentato dalla loro stretta vicinanza al regno dell'immaginazione».

Ecosistemi marini a rischio
La presenza di danni ambientali sta invece emergendo con chiarezza come conseguenza della crescita esponenziale degli impianti di acquacoltura registrata negli ultimi anni. Il Cile è oggi il maggior produttore mondiale di salmoni e, soprattutto a nord del Golfo de Penas, non vi è quasi fiordo in cui non si vedano i ti­pici galleggianti che delimitano l'area di un allevamento (salmo-nera). Le acque dei fiordi sono generalmente fredde, pulite, tra­sparenti e nello stesso tempo protette rispetto al mare aperto: so­no quindi ambienti ideali per far crescere i salmoni, che in poco più di un anno passano da poche centinaia di grammi a oltre 10 chilogrammi di peso. Tuttavia il numero degli impianti e la den­sità degli animali producono enormi quantità di escrementi, re­sidui di mangimi, farmaci e altre sostanze che riducono progressivamente la trasparenza delle acque, elevano la quantità dei nutrienti presenti e introducono sostanze potenzialmente tossiche.

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I ricercatori della Huinay Scientific Field Sta-tion, una piccola stazione di biologia marina nel fiordo di Comau, hanno lanciato l'allarme sulle conseguenze che le modifiche dei parametri chi­mico-fisici, causate dalla presenza delle salmo-nere, potrebbero avere sulle specie che abitano i fiordi cileni, e in particolare sui coralli, la cui esclusiva distribuzione sulle pareti verticali sug­gerisce che siano particolarmente sensibili alla presenza di sedimenti in sospensione.

L'impegno dei ricercatori per la conservazione degli ambien­ti costieri si sta concretizzando nell'istituzione di alcune aree di riserva marina nei fiordi a nord del Golfo de Penas. Sarebbe tuttavia auspicabile che, con l'istituzione di nuove aree protette, venisse anche limitato il numero di salmonere.

Anche la pesca artigianale, sebbene realizzi un prelievo limitato rispetto a quella industria­le, è sottoposta a problemi sociali e interessi economici che in­fluiscono negativamente sulla conservazione delle specie. In pas­sato le popolazioni tra Chiloé e la Terra del Fuoco, sfruttando la forte escursione di marea, raccoglievano molluschi e crostacei intertidali e costruivano muretti a pochi metri dalla costa (corrales) che trattenevano i pesci al ritiro delle acque con la bassa marea. Oggi, con l'ampliarsi dei mercati a livello internazionale, il pre­lievo della pesca artigianale si è fatto sempre più cospicuo e, pa­rallelamente, sono sorti problemi per le popolazioni delle specie oggetto di pesca.

È questo, per esempio, il caso dei ricci di mare, di cui il Cile era fino a qualche anno fa il maggior esportatore al mondo. I ricci, così come diverse specie di molluschi, sono raccolti dai cosiddetti busi, pescatori che scendono in profondità servendosi per respi­rare di un tubo di gomma collegato a un compressore situato, in superficie, sull'imbarcazione di appoggio. I biologi marini che a Melinka (piccolo centro di pescatori nelle Isole Guaitecas) colla-borano con il locale sindacato di pesca ci hanno detto che i ban­chi di ricci entro i 20 metri di profondità si sono esauriti a causa della raccolta indiscriminata e che i busi - non potendo con i lo­ro sistemi, privi di qualsivoglia norma di sicurezza, scendere più in profondità, hanno grossi problemi di sussistenza.

Regolamentare la pesca
Se a questo si aggiunge il progressivo scarseggiare delle spe­cie ittiche che rappresentavano tradizionalmente i prodotti del­la pesca con reti, si può intuire la preoccupazione espressa da di­versi rappresentanti del settore della pesca artigianale.

L'impo­verimento delle specie oggetto di pesca provoca il collasso del­le marinerie che su queste specie basano il loro reddito, come mostrato dall'emblematico caso del merluzzo atlantico, il cui drammatico declino delle popolazioni ha portato nel 1984 al­la chiusura delle marinerie canadesi con danni sociali ed econo­mici enormi. Tuttavia, in assenza di specifici programmi gover­nativi mirati alla gestione responsabile del prelievo o di proget­ti di riconversione, come sta avvenendo in Cile, i pescatori ten­dono a concentrare l'attenzione su altre specie, continuando pe­rò a esercitare un prelievo privo di regolamentazioni basate sul­la biologia e l'ecologia delle specie.

A Chiloé i pescatori artigianali hanno iniziato a prelevare sen­za limitazioni razze e squali, specie di scarso interesse locale ma ambite sul mercato internazionale. Sia squali che razze hanno bassa fecondità - ciascuna femmina produce pochi piccoli all'an­no - e questo li rende particolarmente vulnerabili al prelievo in­discriminato, come ufficialmente segnalato sia dall'IUCN che dal­la FAO. A Dalcahue, nell'isola di Chiloé, abbiamo visto scaricare quintali di pesce elefante (Callorhynchus callorhynchus], una chi­mera (pesci cartilaginei dell'ordine dei chimeriformi) le cui pin­ne vengono vendute sui mercati asiatici mentre le carni vengono commerciate in Europa. Al prelievo di questa specie ci siamo par­ticolarmente interessati perché di chimere esistono solo 31 specie, sono tutte di profondità e la loro biologia è largamente scono­sciuta. D pesce elefante viene pescato solo per alcuni mesi all'an­no e in siti particolari, ma in grande quantità. Tutti gli esempla­ri che abbiamo visto erano sessualmente maturi e di dimensio­ni simili. Queste osservazioni suggeriscono che la pesca avvenga in aree in cui gli individui si aggregano, in particolari periodi, per riprodursi. Purtroppo è ben documentato, dal collasso di diverse specie, come il prelievo massiccio nelle aggregazioni riproduttive abbia effetti devastanti sullo stato delle popolazioni.

La regolamentazione del prelievo di pesca, date le sue com­plesse implicazioni socio-economiche, non è un problema di fa­cile soluzione. Tuttavia le esperienze documentate per moltissime specie, nei mari più diversi, concordano perfettamente nell'indi-care come oggi non sia più possibile attuare un prelievo cospi­cuo, così come sta avvenendo per molte specie cilene, in assenza di norme che tengano conto delle caratteristiche biologiche del­le specie oggetto di pesca. Per questo le conoscenze scientifiche, permeate da una visione evoluzionistica moderna delle comples­se relazioni che caratterizzano gli ecosistemi, possono e devono essere chiamate a contribuire ai problemi della gestione respon­sabile e delle conservazione della biodiversità marina.
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