L'Himalaya, la catena montuosa che ospita le montagne più alte della terra.
L'Himalaya, detta anche tetto del mondo, è una catena montuosa dell'Asia, che separa India, Nepal e Bhutan dalla Cina. È lunga circa 2.400 km per una larghezza di circa 100-200 km. Vi sono comprese le più alte vette del mondo. In sanscrito significa la dimora delle nevi.
La vetta più alta è l'Everest
Il clima dell'Himalaya, nettamente discordante rispetto alla fascia climatica tropicale cui appartiene, varia a seconda dell'altitudine, da sub-tropicale alle pendici meridionali fino ad alpino estremo sulle vette più elevate. Si possono distinguere tre macro-stagioni: da ottobre a febbraio con basse temperature, da maggio a giugno con temperature più elevate e da giugno a settembre con l'umida stagione monsonica caratterizzata da violente piogge, limitate però al settore meridionale della catena, le cui alte vette impediscono il passaggio dei monsoni.
Le piogge sono particolarmente abbondanti a partire dai 450 m d'altitudine nei settori meridionali ed occidentali. Il Dharamshala rappresenta l'area soggetta a piogge più intense, nell'ordine di circa 3400 mm/anno. Lo Spiti è invece l'area più secca ed arida, con meno di 50 mm di pioggia, essendo una sorta di "enclave geografico" completamente circondato da alte montagne che ne determinano il particolare microclima.
La neve, che insiste per tutto l'anno sul paesaggio himalayano, si concentra tuttavia in inverno (specie al di sotto dei 5000 m d'altezza), con precipitazioni molto abbondanti pressoché ovunque: intorno ai 3000 m, in questa stagione, la copertura nevosa è solitamente spessa circa 3 m. Con la possibile eccezione di eventi particolari dovuti, fra l'altro, a variazioni della pressione atmosferica, nella tarda primavera himalayana la gran parte del territorio presenta una copertura nevosa compresa tra 1 e 10 cm.
Altre zone più ridotte e circoscritte possono presentare coperture tra 10 e 25 cm ed in minor misura tra 25 e 50 cm. Ancora più esigue sono le aree dove l'accumulo di neve va da 50 cm a 1 m di spessore, e si concentrano (come le altre zone con coperture superiori a 10 cm) nel settore nord-Nord/Ovest dell'Himalaya, il più soggetto a precipitazioni nevose.
Se si considera invece l'accumulo di neve negli ultimi tre giorni dalla data di riferimento qui considerata (che è a fine maggio del 2007), si rileva un accumulo nevoso quasi dimezzato per superficie e concentrato a nord e ad ovest, e inferiore pressoché ovunque ai 25 cm. Al contrario, prevalgono le piogge, concentrate tuttavia alle altitudini inferiori.
Regione meridionale (clima umido)
Il fiume Jhelum, uno dei tanti bacini che dall'Himalaya scendono a valle, alimentati dalle piogge monsoniche che ogni estate bagnano la parte meridionale della regione himalayana.
Il fiume Jhelum, uno dei tanti bacini che dall'Himalaya scendono a valle, alimentati dalle piogge monsoniche che ogni estate bagnano la parte meridionale della regione himalayana.
Le precipitazioni, legate per lo più (almeno alle quote più basse) al monsone che soffia dall'India, decrescono da est verso ovest. A causa dei venti tropicali provenienti da ovest, inoltre, la regione nord-occidentale dell'Himalaya è colpita massicciamente da precipitazioni sotto forma di pioggia e neve, che danno origine alle sorgenti da cui nascono alcuni dei maggiori fiumi asiatici, come il Gange, che fertilizzano l'omonima pianura.
Nel mese di giugno, la neve presente nei passi si scioglie a causa dell'aumento della temperatura, rendendoli praticabili fino alla metà di ottobre. In estate, si possono avere precipitazioni piovose, che sono comunque molto intense e si concentrano tra luglio ed agosto, effetti del monsone che, dopo aver bagnato tutto il sub-continente indiano, scarica qui le sue ultime acque. Condizioni ideali per il trekking si hanno a settembre e per la prima metà di ottobre, con ottima visibilità dei monti, anche se nella notte le temperature tornano gelide e sottozero sopra i 3500 m d'altezza. Da metà ottobre in poi anche le temperature diurne precipitano, infatti a novembre cominciano le prime nevicate nei passi più prossimi alle montagne.
Da dicembre a marzo si protrae il lungo e rigidissimo inverno himalayano, con condizioni climatiche davvero pessime. L'inverno si attenua con i mesi di aprile e maggio, caratterizzati tuttavia da forti precipitazioni nevose sulle montagne. Va specificato che le piogge si rovesciano soprattutto in collina.
Regione settentrionale (clima arido)
A nord, invece, dove i venti portatori di pioggia, bloccati dalle barriere montuose, non possono arrivare (e soffiano invece i venti artici provenienti da nord) si registra un clima arido o semiarido, con scarsissime precipitazioni (pochi centimetri l'anno) e temperature tra le più basse che si abbiano nel pianeta. In quest'area, il gelo si attenua solo a partire da aprile-maggio, con l'arrivo, ritardato, della primavera.
Climi e biomi
Basse altitudini: il rododendro non è molto resistente al freddo.
Basse altitudini: il rododendro non è molto resistente al freddo.
Fino a 2100 m s.l.m.: l'alloro, insieme a quercia e castagno.
Fino a 2100 m s.l.m.: l'alloro, insieme a quercia e castagno.
Fino a 3600 m s.l.m.: pino bhutanese, l'albero più resistente al rigore climatico dell'Himalaya.
Fino a 3600 m s.l.m.: pino bhutanese, l'albero più resistente al rigore climatico dell'Himalaya.
Oltre i 3600 m d'altitudine: muschio, unico vegetale oltre a licheni e all'erba (in Himalaya, è proprio questa la quota in cui si trova la linea degli alberi.
Oltre i 3600 m d'altitudine: muschio, unico vegetale oltre a licheni e all'erba (in Himalaya, è proprio questa la quota in cui si trova la linea degli alberi.
Secondo la classificazione climatica di Wladimir Köppen, l'Himalaya rientra tra i biomi di fascia "H" (ovvero Highlands, Terre alte), classificazione preceduta dal livello "E" (Polar, Polare). La temperatura media per i territori con clima H viene determinata attribuendo un decremento di 5,6° C ogni 1000 m di elevazione dal livello del mare mentre quello polare si determina sulla distanza in un piano orizzontale, nell'ordine di un grado in meno ogni 80 km di avvicinamento al polo.
La temperatura media annua dell'intera regione himalayana (che varia altimetricamente dai 300 m agli 8800 m) è di circa 8° C, mentre la temperatura media globale è di 20° C. Tale differenza sostanziale si spiega tenendo conto del clima tropicale, tipico di queste latitudini, delle vaste aree poste ad altitudini inferiori. . La media invernale è di 1° C con minimi di -10° C a; la media estiva è di 13° C, con un massimo storico di 24° C. Il mese più freddo è solitamente Gennaio, il più caldo è Giugno.
L'Himalaya è caratterizzato da precipitazioni presenti durante tutto l'anno con una media di 406 mm, di cui 76 mm in estate (in massima parte sotto forma di pioggia) e 127 mm in inverno (sotto forma di neve).
Il particolare clima himalayano determina la presenza di due biomi principali: quello secco a nord, e quello umido a sud (oltre a diversi altri biomi variabili in base all'altitudine e alla latitudine). Le particolari caratteristiche geoaltimetriche della regione dell'Himalaya determinano delle singolari anomalie climatiche, rese ancor più peculiari dalla progressiva rarefazione dell'aria. Pur essendo compresa tra 28° e 34° a nord dell'equatore, quindi in zona a clima tropicale caldo/umido, la presenza dei più alti rilievi della Terra determina, invece della savana o della foresta tropicale, una scarsa vegetazione e un'esigua fauna.
Variazione climatica in rapporto alla variazione altimetrica
Nel dettaglio, si hanno le seguenti fasce climatiche in base all'altitudine:
* Clima caldo e sub-tropicale umido (450-900 m s.l.m.), limitato al settore meridionale;
* Clima mite-temperato (900-1800 m s.l.m.);
* Clima freddo-temperato (1900-2400 m s.l.m.);
* Clima alpino freddo-glaciale (2400-4800 m), nei settori montagnosi settentrionali ed orientali.
* Clima a neve perenne (4800-8800 m)
La catena montuosa dell'Himalaya, oltre all'Himalaya considerato in senso stretto, comprende anche:
* Hindu Kush
* Karakorum
* Pamir
Principali vette, tra le altre:
* Everest 8.850 m
* K2 8.611 m
* Kanchenjonga 8.586 m
* Lhotse 8.501 m
* Makalu 8.462 m
* Cho Oyu 8.201 m
* Dhaulagiri 8.167 m
* Manaslu 8.163 m
* Nanga Parbat 8.126 m
* Annapurna 8.091 m
* Gasherbrum I 8.068 m
* Broad Peak 8.047 m
* Gasherbrum II 8.035 m
* Shisha Pangma 8.027 m
* Gyachung Kang 7.922 m
* Nanda Devi 7.817 m
* Pumori 7.161 m
* Amai Dablang
I toponimi usati per individuare i monti himalayani sono in genere formati da radici nepalesi, tibetane, turchestane e sanscrite, combinate talvolta in modo ibrido tra loro, e possiedono una capacità espressiva ed una condensazione di significati ai quali gli occidentali non sono avvezzi.
Alcuni nomi di monti hanno carattere eminentemente descrittivo, come ad esempio:
* Himalaya, la dimora delle nevi
* Karakorum, le pietraie nere
* Dhaulagiri, il monte bianco
* Nilgiri, il monte azzurro
* Gasherbrum, la parete lucente
* Machapuchare, la coda di pesce
* Makalu, il grande nero
* Kang Taiga, la sella di neve
* Chogo Ri (rinominato K2), il grande monte
In altri casi il toponimo ha un preciso riferimento religioso, come ad esempio:
* Pancchulé, le cinque fiaccole celesti
* Gosainthan, il luogo dei santi
* Trisul, il tridente (simbolo di Shiva)
* Indrasan, il trono di Indra
* Manaslu, la montagna dello spirito
* Chomo Lungma, (rinominato Everest), la dea madre della terra
* Annapurna, la dea delle messi e dell'abbondanza
* Ganesh Himal, la montagna nevosa del dio elefante
Esistono poi alcuni monti il cui nome deriva dalla loro posizione rispetto ad altre cime, come:
* Nuptse, il monte dell'ovest
* Lhotse Shar, il monte a sud-est
* Lhotse, il monte a sud
* Nunagiri, il monte tra i due fiumi
Ci imbattiamo infine in nomi come:
* Kardong, la fortezza di neve
* Mahalangur Himal, la catena montuosa delle grandi scimmie
* Mustagh, la montagna scintillante di ghiaccio
* Shisha Pangma, la cresta al di là dei pascoli
* Mulkilà, la fortezza d'argento
* Amai Dablang, la madre che abbraccia
* Kanchenjonga, i cinque tesori della grande neve
La vista dei monti himalayani, di questi pilastri del cielo che s'innalzano limpidi e poderosi dalle brume e dalle imperfezioni del mondo, evoca alla memoria il fiore di loto, simbolo della fede buddhista.
Anche il fiore di loto affonda le sue radici nel fango che è simile al Saṃsāra, l'eterno ciclo delle nascite e delle morti; ma quando sboccia, la sua corolla, ergendosi alta sullo stelo, si apre bianca ed immacolata per rappresentare la salvezza dell'anima e l'eterna serenità del nirvana.
Non è certamente un caso se antichi popoli, su entrambi i versanti della catena himalayana, hanno sempre identificato le più alte montagne del mondo come la sede dei loro dei. Ancora oggi, seguendo un'antica tradizione lenta a morire, vige talvolta l'usanza nelle spedizioni alpinistiche di fermarsi un metro sotto la vetta per un senso di mistico rispetto e di deferente omaggio verso la casa di Dio.
Effetti climatici sul resto del continente asiatico
L'Himalaya esercita notevoli influenze sul clima di una vasta porzione dell'Asia: essendo, dal punto di vista geografico, un'enorme barriera alta fin quasi 9.000 m nei suoi punti più elevati, che si innalza quasi a demarcare la penisola indiana dal resto del continente, funge innanzitutto da ostacolo invalicabile per i venti che vi si parano contro senza poterlo superare.
Anzitutto, impedisce al vento monsonico indiano di spingersi a nord, determinando un accumulo di piogge proprio alle pendici meridionali della catena montuosa; in senso contrario, protegge l'Asia meridionale dai freddi venti secchi artici che soffiano da nord, rendendo la metà meridionale del continente asiatico molto più calda rispetto ad altre regioni del pianeta situate alle stesse latitudini. La regione settentrionale è prevalentemente arida, carente di umidità, proprio perché colpita dai venti polari che non sono portatori di pioggia.
Funge inoltre da scudo alle perturbazioni provenienti dall'Iran l'area himalayana del Kashmir, che è pertanto soggetta a frequenti e copiose nevicate, e la parte nord-occidentale dell'India, il Punjab.
Effetti del surriscaldamento globale e del turismo
Un team di ricercatori finanziato dal Programma Ambientale delle Nazioni unite ha rilevato diversi cambiamenti climatici sull'Everest, rispetto al 1953, anno in cui una spedizione ne raggiunse per la prima volta la vetta. Il grande ghiacciaio si è ritirato di ben 5 km (si calcola che sulle vette himalayane ogni anno i ghiacciai si ritirino di 10 m circa) mentre l'Island Peak ("isola della vetta": la vetta dell'Everest è così nota poiché rappresenta un'isola nel bel mezzo di un mare di ghiaccio) si sta lentamente sciogliendo dando origine a veri e propri laghetti.
Secondo il responsabile di tale spedizione e come è tra l'altro noto alla comunità scientifica internazionale, tali effetti climatici sono in larga parte addebitabili al riscaldamento globale dovuto all'inquinamento e all'effetto serra, che non ha fallito - come migliaia di climbers - a scalare la montagna più alta del pianeta per addurle simili sofferenze.
Un ruolo marginale svolge anche il crescente flusso turistico degli scalatori: fino alla metà del Novecento, le vette nepalesi e tibetane come l'Everest erano vietate agli stranieri, e si sono infatti preservate in ottime condizioni.
Anche la gente del posto, appartenente alle comunità montanare himalayane ha notato cambiamenti abbastanza rapidi e significativi nell'ultimo ventennio per quanto riguarda l'estensione dei ghiacciai. Lo scioglimento dei ghiacciai e delle nevi ha infatti causato, a livello climatico, numerose inondazioni che hanno travolto i ponti di legno che consentivano di postarsi nelle alte ed accidentate montagne locali.
Ma questi sono solo danni minori: ciò che più preoccupa gli scienziati e la popolazione è il fatto che il progressivo scioglimento dei ghiacciai ingrossa notevolmente i laghi d'alta quota, con conseguenze drammatiche sul medio termine. Nell'Himalaya nepalese soltanto, infatti, vi sono 3.300 ghiacciai, e in 2.300 di essi vi sono i cosiddetti laghi glaciali, che sono come delle grosse pozzanghere formate dal ghiaccio che man mano si va sciogliendo a causa dell'aumento della temperatura.
Più i ghiacciai si ritireranno, depositando l'acqua derivata dallo scioglimento nei loro laghi "di scarico", più tali laghi innalzeranno il proprio livello, con il rischio concreto che in un prossimo futuro si verifichino inondazioni ben più gravi di quelle avutesi finora, che hanno lo stesso sortito effetti rilevanti su scala locale.
Basta analizzare la situazione degli ultimi settant'anni per rendersi conto che inondazioni molto pericolose in grado di travolgere edifici, strade, ponti e persone sono avvenute in Nepal, Bhutan, Bangladesh ed India.
Nel 1985, ad esempio, nella località nepalese di Khumbu uno straripamento di un lago glaciale uccise venti persone e provocò molti danni materiali. Delle ricerche effettuate in Giappone, poi, evidenziarono che la maggior parte dei ghiacciai di Khumbu si era ritirato di 30-60 m tra il 1970 ed il 1989, ed analoghi dati emersero da studi conclusi nel 1994 nella regione nepalese di Dhaulagiri. Nello stesso paese, i ghiacciai di Tsorong Himalsi si erano ritirati di 10 m tra il 1978 ed il 1989.
Tuttavia, si registra anche qualche segnale positivo: il satellite ha infatti messo alla luce che alcuni ghiacciai sono rimasti uguali a prima, ed altri addirittura si stanno estendendo, in particolare nelle aree a nord e ad ovest dell'Himalaya.
È infine da rilevare l'insorgere di un problema opposto rispetto all'abbondanza eccessiva d'acqua e alle sue conseguenze negative: con il progressivo scioglimento dei ghiacci perenni che ammantano l'Himalaya, infatti, i grandi fiumi da essi alimentati, che costituiscono l'asse portante dell'imponente sistema idrografico indiano, subirebbero una riduzione della portata che in certi casi potrebbe sfiorare il 90%, secondo quanto dichiarato alla BBC da Syed Iqbal Hosnain, dell'Università di Calicut, in India: sono facilmente immaginabili i drammatici scenari che una tale situazione provocherebbe a danno di tutto il sub-continente indiano, nel quale vivono oltre un miliardo di persone e che pertanto non può permettersi una tanto grave siccità.
C'è da dire però che l'assenza, da più parti lamentata, di studi permanenti e specifici sul mutamento climatico nell'Himalaya porta gli studiosi a mantenersi cauti sulle conseguenze che si potrebbero avere e sugli scenari che si verrebbero a creare, e che comunque riguarderebbero solo ed esclusivamente il lungo termine.
La vetta più alta è l'Everest
Il clima dell'Himalaya, nettamente discordante rispetto alla fascia climatica tropicale cui appartiene, varia a seconda dell'altitudine, da sub-tropicale alle pendici meridionali fino ad alpino estremo sulle vette più elevate. Si possono distinguere tre macro-stagioni: da ottobre a febbraio con basse temperature, da maggio a giugno con temperature più elevate e da giugno a settembre con l'umida stagione monsonica caratterizzata da violente piogge, limitate però al settore meridionale della catena, le cui alte vette impediscono il passaggio dei monsoni.
Le piogge sono particolarmente abbondanti a partire dai 450 m d'altitudine nei settori meridionali ed occidentali. Il Dharamshala rappresenta l'area soggetta a piogge più intense, nell'ordine di circa 3400 mm/anno. Lo Spiti è invece l'area più secca ed arida, con meno di 50 mm di pioggia, essendo una sorta di "enclave geografico" completamente circondato da alte montagne che ne determinano il particolare microclima.
La neve, che insiste per tutto l'anno sul paesaggio himalayano, si concentra tuttavia in inverno (specie al di sotto dei 5000 m d'altezza), con precipitazioni molto abbondanti pressoché ovunque: intorno ai 3000 m, in questa stagione, la copertura nevosa è solitamente spessa circa 3 m. Con la possibile eccezione di eventi particolari dovuti, fra l'altro, a variazioni della pressione atmosferica, nella tarda primavera himalayana la gran parte del territorio presenta una copertura nevosa compresa tra 1 e 10 cm.
Altre zone più ridotte e circoscritte possono presentare coperture tra 10 e 25 cm ed in minor misura tra 25 e 50 cm. Ancora più esigue sono le aree dove l'accumulo di neve va da 50 cm a 1 m di spessore, e si concentrano (come le altre zone con coperture superiori a 10 cm) nel settore nord-Nord/Ovest dell'Himalaya, il più soggetto a precipitazioni nevose.
Se si considera invece l'accumulo di neve negli ultimi tre giorni dalla data di riferimento qui considerata (che è a fine maggio del 2007), si rileva un accumulo nevoso quasi dimezzato per superficie e concentrato a nord e ad ovest, e inferiore pressoché ovunque ai 25 cm. Al contrario, prevalgono le piogge, concentrate tuttavia alle altitudini inferiori.
Regione meridionale (clima umido)
Il fiume Jhelum, uno dei tanti bacini che dall'Himalaya scendono a valle, alimentati dalle piogge monsoniche che ogni estate bagnano la parte meridionale della regione himalayana.
Il fiume Jhelum, uno dei tanti bacini che dall'Himalaya scendono a valle, alimentati dalle piogge monsoniche che ogni estate bagnano la parte meridionale della regione himalayana.
Le precipitazioni, legate per lo più (almeno alle quote più basse) al monsone che soffia dall'India, decrescono da est verso ovest. A causa dei venti tropicali provenienti da ovest, inoltre, la regione nord-occidentale dell'Himalaya è colpita massicciamente da precipitazioni sotto forma di pioggia e neve, che danno origine alle sorgenti da cui nascono alcuni dei maggiori fiumi asiatici, come il Gange, che fertilizzano l'omonima pianura.
Da dicembre a marzo si protrae il lungo e rigidissimo inverno himalayano, con condizioni climatiche davvero pessime. L'inverno si attenua con i mesi di aprile e maggio, caratterizzati tuttavia da forti precipitazioni nevose sulle montagne. Va specificato che le piogge si rovesciano soprattutto in collina.
Regione settentrionale (clima arido)
A nord, invece, dove i venti portatori di pioggia, bloccati dalle barriere montuose, non possono arrivare (e soffiano invece i venti artici provenienti da nord) si registra un clima arido o semiarido, con scarsissime precipitazioni (pochi centimetri l'anno) e temperature tra le più basse che si abbiano nel pianeta. In quest'area, il gelo si attenua solo a partire da aprile-maggio, con l'arrivo, ritardato, della primavera.
Climi e biomi
Basse altitudini: il rododendro non è molto resistente al freddo.
Basse altitudini: il rododendro non è molto resistente al freddo.
Fino a 2100 m s.l.m.: l'alloro, insieme a quercia e castagno.
Fino a 2100 m s.l.m.: l'alloro, insieme a quercia e castagno.
Fino a 3600 m s.l.m.: pino bhutanese, l'albero più resistente al rigore climatico dell'Himalaya.
Fino a 3600 m s.l.m.: pino bhutanese, l'albero più resistente al rigore climatico dell'Himalaya.
Oltre i 3600 m d'altitudine: muschio, unico vegetale oltre a licheni e all'erba (in Himalaya, è proprio questa la quota in cui si trova la linea degli alberi.
Oltre i 3600 m d'altitudine: muschio, unico vegetale oltre a licheni e all'erba (in Himalaya, è proprio questa la quota in cui si trova la linea degli alberi.
Secondo la classificazione climatica di Wladimir Köppen, l'Himalaya rientra tra i biomi di fascia "H" (ovvero Highlands, Terre alte), classificazione preceduta dal livello "E" (Polar, Polare). La temperatura media per i territori con clima H viene determinata attribuendo un decremento di 5,6° C ogni 1000 m di elevazione dal livello del mare mentre quello polare si determina sulla distanza in un piano orizzontale, nell'ordine di un grado in meno ogni 80 km di avvicinamento al polo.
La temperatura media annua dell'intera regione himalayana (che varia altimetricamente dai 300 m agli 8800 m) è di circa 8° C, mentre la temperatura media globale è di 20° C. Tale differenza sostanziale si spiega tenendo conto del clima tropicale, tipico di queste latitudini, delle vaste aree poste ad altitudini inferiori. . La media invernale è di 1° C con minimi di -10° C a; la media estiva è di 13° C, con un massimo storico di 24° C. Il mese più freddo è solitamente Gennaio, il più caldo è Giugno.
L'Himalaya è caratterizzato da precipitazioni presenti durante tutto l'anno con una media di 406 mm, di cui 76 mm in estate (in massima parte sotto forma di pioggia) e 127 mm in inverno (sotto forma di neve).
Il particolare clima himalayano determina la presenza di due biomi principali: quello secco a nord, e quello umido a sud (oltre a diversi altri biomi variabili in base all'altitudine e alla latitudine). Le particolari caratteristiche geoaltimetriche della regione dell'Himalaya determinano delle singolari anomalie climatiche, rese ancor più peculiari dalla progressiva rarefazione dell'aria. Pur essendo compresa tra 28° e 34° a nord dell'equatore, quindi in zona a clima tropicale caldo/umido, la presenza dei più alti rilievi della Terra determina, invece della savana o della foresta tropicale, una scarsa vegetazione e un'esigua fauna.
Variazione climatica in rapporto alla variazione altimetrica
Nel dettaglio, si hanno le seguenti fasce climatiche in base all'altitudine:
* Clima caldo e sub-tropicale umido (450-900 m s.l.m.), limitato al settore meridionale;
* Clima mite-temperato (900-1800 m s.l.m.);
* Clima freddo-temperato (1900-2400 m s.l.m.);
* Clima alpino freddo-glaciale (2400-4800 m), nei settori montagnosi settentrionali ed orientali.
* Clima a neve perenne (4800-8800 m)
La catena montuosa dell'Himalaya, oltre all'Himalaya considerato in senso stretto, comprende anche:
* Hindu Kush
* Karakorum
* Pamir
Principali vette, tra le altre:
* Everest 8.850 m
* K2 8.611 m
* Kanchenjonga 8.586 m
* Lhotse 8.501 m
* Makalu 8.462 m
* Cho Oyu 8.201 m
* Dhaulagiri 8.167 m
* Manaslu 8.163 m
* Nanga Parbat 8.126 m
* Annapurna 8.091 m
* Gasherbrum I 8.068 m
* Broad Peak 8.047 m
* Gasherbrum II 8.035 m
* Shisha Pangma 8.027 m
* Gyachung Kang 7.922 m
* Nanda Devi 7.817 m
* Pumori 7.161 m
* Amai Dablang
I toponimi usati per individuare i monti himalayani sono in genere formati da radici nepalesi, tibetane, turchestane e sanscrite, combinate talvolta in modo ibrido tra loro, e possiedono una capacità espressiva ed una condensazione di significati ai quali gli occidentali non sono avvezzi.
Alcuni nomi di monti hanno carattere eminentemente descrittivo, come ad esempio:
* Himalaya, la dimora delle nevi
* Karakorum, le pietraie nere
* Dhaulagiri, il monte bianco
* Nilgiri, il monte azzurro
* Gasherbrum, la parete lucente
* Machapuchare, la coda di pesce
* Makalu, il grande nero
* Kang Taiga, la sella di neve
* Chogo Ri (rinominato K2), il grande monte
In altri casi il toponimo ha un preciso riferimento religioso, come ad esempio:
* Pancchulé, le cinque fiaccole celesti
* Gosainthan, il luogo dei santi
* Trisul, il tridente (simbolo di Shiva)
* Indrasan, il trono di Indra
* Manaslu, la montagna dello spirito
* Chomo Lungma, (rinominato Everest), la dea madre della terra
* Annapurna, la dea delle messi e dell'abbondanza
* Ganesh Himal, la montagna nevosa del dio elefante
Esistono poi alcuni monti il cui nome deriva dalla loro posizione rispetto ad altre cime, come:
* Nuptse, il monte dell'ovest
* Lhotse Shar, il monte a sud-est
* Lhotse, il monte a sud
* Nunagiri, il monte tra i due fiumi
Ci imbattiamo infine in nomi come:
* Kardong, la fortezza di neve
* Mahalangur Himal, la catena montuosa delle grandi scimmie
* Mustagh, la montagna scintillante di ghiaccio
* Shisha Pangma, la cresta al di là dei pascoli
* Mulkilà, la fortezza d'argento
* Amai Dablang, la madre che abbraccia
* Kanchenjonga, i cinque tesori della grande neve
La vista dei monti himalayani, di questi pilastri del cielo che s'innalzano limpidi e poderosi dalle brume e dalle imperfezioni del mondo, evoca alla memoria il fiore di loto, simbolo della fede buddhista.
Anche il fiore di loto affonda le sue radici nel fango che è simile al Saṃsāra, l'eterno ciclo delle nascite e delle morti; ma quando sboccia, la sua corolla, ergendosi alta sullo stelo, si apre bianca ed immacolata per rappresentare la salvezza dell'anima e l'eterna serenità del nirvana.
Non è certamente un caso se antichi popoli, su entrambi i versanti della catena himalayana, hanno sempre identificato le più alte montagne del mondo come la sede dei loro dei. Ancora oggi, seguendo un'antica tradizione lenta a morire, vige talvolta l'usanza nelle spedizioni alpinistiche di fermarsi un metro sotto la vetta per un senso di mistico rispetto e di deferente omaggio verso la casa di Dio.
Effetti climatici sul resto del continente asiatico
L'Himalaya esercita notevoli influenze sul clima di una vasta porzione dell'Asia: essendo, dal punto di vista geografico, un'enorme barriera alta fin quasi 9.000 m nei suoi punti più elevati, che si innalza quasi a demarcare la penisola indiana dal resto del continente, funge innanzitutto da ostacolo invalicabile per i venti che vi si parano contro senza poterlo superare.
Anzitutto, impedisce al vento monsonico indiano di spingersi a nord, determinando un accumulo di piogge proprio alle pendici meridionali della catena montuosa; in senso contrario, protegge l'Asia meridionale dai freddi venti secchi artici che soffiano da nord, rendendo la metà meridionale del continente asiatico molto più calda rispetto ad altre regioni del pianeta situate alle stesse latitudini. La regione settentrionale è prevalentemente arida, carente di umidità, proprio perché colpita dai venti polari che non sono portatori di pioggia.
Funge inoltre da scudo alle perturbazioni provenienti dall'Iran l'area himalayana del Kashmir, che è pertanto soggetta a frequenti e copiose nevicate, e la parte nord-occidentale dell'India, il Punjab.
Effetti del surriscaldamento globale e del turismo
Un team di ricercatori finanziato dal Programma Ambientale delle Nazioni unite ha rilevato diversi cambiamenti climatici sull'Everest, rispetto al 1953, anno in cui una spedizione ne raggiunse per la prima volta la vetta. Il grande ghiacciaio si è ritirato di ben 5 km (si calcola che sulle vette himalayane ogni anno i ghiacciai si ritirino di 10 m circa) mentre l'Island Peak ("isola della vetta": la vetta dell'Everest è così nota poiché rappresenta un'isola nel bel mezzo di un mare di ghiaccio) si sta lentamente sciogliendo dando origine a veri e propri laghetti.
Secondo il responsabile di tale spedizione e come è tra l'altro noto alla comunità scientifica internazionale, tali effetti climatici sono in larga parte addebitabili al riscaldamento globale dovuto all'inquinamento e all'effetto serra, che non ha fallito - come migliaia di climbers - a scalare la montagna più alta del pianeta per addurle simili sofferenze.
Un ruolo marginale svolge anche il crescente flusso turistico degli scalatori: fino alla metà del Novecento, le vette nepalesi e tibetane come l'Everest erano vietate agli stranieri, e si sono infatti preservate in ottime condizioni.
Anche la gente del posto, appartenente alle comunità montanare himalayane ha notato cambiamenti abbastanza rapidi e significativi nell'ultimo ventennio per quanto riguarda l'estensione dei ghiacciai. Lo scioglimento dei ghiacciai e delle nevi ha infatti causato, a livello climatico, numerose inondazioni che hanno travolto i ponti di legno che consentivano di postarsi nelle alte ed accidentate montagne locali.
Ma questi sono solo danni minori: ciò che più preoccupa gli scienziati e la popolazione è il fatto che il progressivo scioglimento dei ghiacciai ingrossa notevolmente i laghi d'alta quota, con conseguenze drammatiche sul medio termine. Nell'Himalaya nepalese soltanto, infatti, vi sono 3.300 ghiacciai, e in 2.300 di essi vi sono i cosiddetti laghi glaciali, che sono come delle grosse pozzanghere formate dal ghiaccio che man mano si va sciogliendo a causa dell'aumento della temperatura.
Più i ghiacciai si ritireranno, depositando l'acqua derivata dallo scioglimento nei loro laghi "di scarico", più tali laghi innalzeranno il proprio livello, con il rischio concreto che in un prossimo futuro si verifichino inondazioni ben più gravi di quelle avutesi finora, che hanno lo stesso sortito effetti rilevanti su scala locale.
Basta analizzare la situazione degli ultimi settant'anni per rendersi conto che inondazioni molto pericolose in grado di travolgere edifici, strade, ponti e persone sono avvenute in Nepal, Bhutan, Bangladesh ed India.
Nel 1985, ad esempio, nella località nepalese di Khumbu uno straripamento di un lago glaciale uccise venti persone e provocò molti danni materiali. Delle ricerche effettuate in Giappone, poi, evidenziarono che la maggior parte dei ghiacciai di Khumbu si era ritirato di 30-60 m tra il 1970 ed il 1989, ed analoghi dati emersero da studi conclusi nel 1994 nella regione nepalese di Dhaulagiri. Nello stesso paese, i ghiacciai di Tsorong Himalsi si erano ritirati di 10 m tra il 1978 ed il 1989.
Tuttavia, si registra anche qualche segnale positivo: il satellite ha infatti messo alla luce che alcuni ghiacciai sono rimasti uguali a prima, ed altri addirittura si stanno estendendo, in particolare nelle aree a nord e ad ovest dell'Himalaya.
È infine da rilevare l'insorgere di un problema opposto rispetto all'abbondanza eccessiva d'acqua e alle sue conseguenze negative: con il progressivo scioglimento dei ghiacci perenni che ammantano l'Himalaya, infatti, i grandi fiumi da essi alimentati, che costituiscono l'asse portante dell'imponente sistema idrografico indiano, subirebbero una riduzione della portata che in certi casi potrebbe sfiorare il 90%, secondo quanto dichiarato alla BBC da Syed Iqbal Hosnain, dell'Università di Calicut, in India: sono facilmente immaginabili i drammatici scenari che una tale situazione provocherebbe a danno di tutto il sub-continente indiano, nel quale vivono oltre un miliardo di persone e che pertanto non può permettersi una tanto grave siccità.
C'è da dire però che l'assenza, da più parti lamentata, di studi permanenti e specifici sul mutamento climatico nell'Himalaya porta gli studiosi a mantenersi cauti sulle conseguenze che si potrebbero avere e sugli scenari che si verrebbero a creare, e che comunque riguarderebbero solo ed esclusivamente il lungo termine.
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