In Offida, l’accento va sulla “i” come “vino”.
Offida, l’accento va sulla “i” come “vino”. Lo capisci sporgendoti dal parapetto dietro l’abside della chiesa millenaria di Santa Maria della Rocca, che questo è un luogo divino: la santità delle penombre di questo monolite della spiritualità, appena traforato da piccoli portici nani, graziosamente minimi, e la leggerezza delle vigne aggrappate ai pendii, là sotto.
Il dirupo scende bianco e verticale, una parete calcarea sulla quale percola la luce mielata del pomeriggio offidano.
Una città che respira di una grandezza che pare appena passata: la popolazione attuale è poco più della metà di quella degli anni cinquanta.
Ne resta la gloria, nell’immensa piazza in cui si specchia il Palazzo Comunale, un’antifona delle città di mattoni della Toscana interna.
Nel silenzio paludato delle strade del centro solo con qualche sforzo riesci a sentire gli strepiti dei ferri e le urla dei feriti che da queste parti erano quotidiane al tempo delle guerre: Ascoli contro Fermo, Guelfi contro Ghibellini si scannavano come vitelli dimentichi delle meraviglie attorno.
Un bicchiere di garrulo Pecorino – il bianco DOC di Offida – o di polpacciuto Rosso Piceno per comporre qualsiasi diatriba, magari alle tavole generose di questi luoghi.
fonte Immagini d’Italia
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